“Ho fotogrammi di questo film. Il secondo episodio lo stiamo già scrivendo in questi giorni, ma il primo mi piace poterlo iniziare dalla fine: Margherita ed io. Dopo sei mesi di reparto, in cui ho visto la professionalità e il dolore, la felicità e l’impotenza, i sorrisi e le lacrime, una infermiera mi propone di prendere in collo una bimba, un chilo e poco più. In questo gesto, in quella ‘consegna’, tutti i giorni trascorsi insieme si concretizzano e prendono corpo. La mia presenza in reparto, osservare i carichi di lavoro, i confronti e le fatiche, emergono in quell’azione così semplice e così importante. Ho visto la cura nei piccoli gesti, nel sistemare un vestito, nel fare un nido o nel mobilizzare un bimbo. Ho visto l’esperienza, la competenza, la professionalità e la passione nel gesto tecnico. Ho visto la capacità di interrogarsi e di fare meglio, il dolore di un lutto, la fatica di comunicazioni difficili e incerte, e la voglia di sperimentarsi in modalità nuove accompagnate dalla mia presenza. Il mio ruolo in neonatologia è quello di essere di supporto ai professionisti che vivono costantemente momenti altalenanti: il successo di una dimissione, la fatica di una prognosi infausta. Con l’esperienza di counseling ho cercato di fornire strumenti per le comunicazioni con i genitori e anche per migliorare il clima tra i colleghi. Infatti spesso le tensioni emergono proprio per il grande carico sopportato.

Il progetto

Il progetto “counseling e simulazione” è stato sviluppato nel 2016 in Neonatologia, presso l’AOU Pisana ed è partito da un dato concreto: costruire insieme un intervento innovativo che risultasse più efficace del paradigma formativo tradizionale: dal formare i professionisti alle cosiddette counseling skill in aula a sperimentare in situ le competenze con un feedback continuo e immediato: dall’aula al reparto dal reparto all’aula in un’ottica circolare, costruita assieme.

Una delle metodologie più adatte al raggiungimento di questo obiettivo è la “ricerca-azione”: che attraverso l’analisi di pratiche e comportamenti, permette di individuare e analizzare elementi di discontinuità positiva e negativa, con l’obiettivo di introdurre successivamente nella pratica stessa elementi di cambiamento migliorativo.

Abbiamo così alternato fasi di conoscenza teorica a fasi di azione, nel tentativo di tendere a risultati focalizzati sulla dimensione collettiva più che individuale, di prevedere una partecipazione cooperativa e interdipendente tra i vari professionisti “ricercatori”.

I punti di forza e i fattori di qualità sono quelli di studio sistematico dei tentativi intrapresi dai professionisti di cambiare e migliorare la prassi sia attraverso le loro azioni pratiche sia attraverso la loro riflessione sugli effetti di queste azioni”.

Il tutto con l’obiettivo di rendere più sostenibili i carichi presenti all’interno del reparto, sia nel caso della Tin e della subintensiva, di ambiente con un impatto emotivo forte, sia al nido con un lavoro apparentemente più “routinario” di importanza fondamentale per far accrescere e affiancare le donne nel loro primo affacciarsi alla genitorialità, non sostituendosi mai ma sostenendo.

Il counseling

Può succedere che, anche in un luogo dove sono presenti figure professionali competenti e umanamente valide, i genitori dei piccoli pazienti si sentano soli ad affrontare i difficili momenti che seguono un parto prematuro e complesso. Il riconoscimento di questa solitudine e di questo spaesamento è uno dei principali interventi in cui mettere in atto competenze di counseling.

È in questa situazione che può venire in aiuto il counseling: con i suoi strumenti (le domande, il passaggio informativo, l’avere chiarito l’obiettivo, solo per fare cenno ad alcuni) che consolidano la capacità di aprire alle possibilità, di lasciare spazio a ipotesi e conoscenze, di utilizzare la pratica narrativa, che aiuta a una lettura più attenta del vissuto degli altri. Alcuni strumenti del counseling permettono ai professionisti di limitare le incomprensioni e le situazioni conflittuali, affrontare i momenti critici (per proteggersi dalla fatica e dalla frustrazione di non essere apprezzati nonostante interventi tecnicamente corretti) e costruire un percorso di cura condiviso. Inoltre forniscono una lettura relazionale della cura e consentono al professionista, di mantenere la relazione con i genitori, affiancandoli nel difficile momento in cui disorientamento, ansia e preoccupazioni legate alla situazione del bambino, si sommano alle difficoltà di comprendere le informazioni e le richieste che arrivano dalle diverse figure mediche e infermieristiche.

Il percorso

Aula, colloqui individuali e tanta presenza in reparto. In aula sono stati affrontati alcuni temi come la relazione nel gruppo, la centralità della relazione, la relazione con i famigliari e il passaggio di informazione e la costruzione di algoritmi comunicativi esperiti man mano in reparto e messi a punto nell’ultimo incontro di Simulazione.

I colloqui Individuali sono stati una possibilità messa a disposizione del personale di poterli svolgere su richiesta, in condizioni protette (tutelandone e garantendone la riservatezza) ma anche con feedback immediato su richiesta diretta.

In reparto in osservazione: è stato necessario costruire una relazione di reciproca fiducia, di certezza nell’astensione del giudizio e soprattutto far circolare l’idea che la presenza del counselor fosse da intendersi come un sostegno (auspicabile), scambio (certo) per un confronto arricchente con l’intento di dare un respiro agli operatori che rappresentano il principale patrimonio e garanzia di qualità della prestazione di cura intesa a 360 gradi.

Il cosiddetto “capitale umano” sono infermieri, medici e oss che svolgono il loro lavoro con estrema professionalità e con grande passione.

Il progetto counseling e simulazione ha voluto affiancare il personale nel lavoro di cura quotidiano, tenendo conto della stretta relazione che la letteratura mette in evidenza (Laezza; Terenghi 2005) tra le condizioni di agio/disagio  del personale e la qualità delle loro prestazioni: il benessere dei professionisti alimenta la capacità di prendersi cura del paziente e della famiglia realizzando quello che viene definito doppio empowermant. Prestare cura efficacemente e nel tempo, svolgere un lavori di cura per altri diventa insostenibile se non si ha cura di se stessi e se non si riceve a propria volta cura. Numerose ricerche hanno infatti messo in luce l’esistenza di una correlazione forte tra disagio e soddisfazione dei professionisti e minor soddisfazione per l’assistenza ricevuta.

E laddove si registri un più elevato livello di affaticamento emotivo dei curanti, si evidenzia una minor soddisfazione dei parenti/genitori. Mentre dove la realizzazione professionale degli operatori è più elevata tende anche a crescere la soddisfazione dei genitori, con una ricaduta positiva nei neonati. Prestare attenzione alla diminuzione del disagio tra gli operatori aumenta la garanzia della qualità di diagnosi, cura, riabilitazioni e riduzione dei costi (Pellegrino 2000).

Conclusioni

La scelta metodologica fatta in questo progetto ha previsto un percorso pianificato in tre fasi fondamentali: agire, osservare e valutare, cambiare l’azione comunicativa, osservare e valutare.Nello svolgersi del percorso si è attivata una riflessione continua. Mentre si acquisivano nuove competenze di tipo comunicativo, i professionisti si sono interrogati, sulle caratteristiche del loro lavoro, attraverso la metacognizione. Hanno riflettuto sul proprio operato, avvalendosi di strumenti narrativi. Un progetto ambizioso il nostro? Forse, ma anche una sfida: il cambiamento di paradigma altrimenti impensabile, siamo riusciti a farlo partire concretamente. Ora si tratta di continuare l’esplorazione.