Da dove è nata l’idea di affiancare alla tue competenze tecniche quelle di tipo comunicativo?

Più che un’idea è stata una necessità, un bisogno che ho sentito di dover soddisfare con una certa urgenza. Dopo poco aver concluso il mio percorso di studi ho avuto l’occasione di lavorare presso l’Istituto Auxologico Italiano di Piancavallo, dove mi occupavo sia di pazienti affetti da obesità severa che di pazienti con disturbi del comportamento alimentare, pazienti che posso definire come i più complessi e ostici per una dietista. È stata una palestra dura, durante la quale mi sono accorta che per questi pazienti tutti miei calcoli nutrizionali, tutti i miei schemi e le mie conoscenze non bastavano, non si inserivano nel modo e nel momento  giusto:  era come se volessi suturare una ferita prima di averla disinfettata; non solo non è utile, ma rischia anche di creare un danno. Ecco, la mia sensazione era quella, possedevo delle competenze e delle conoscenze che non mi bastavano per fare un buon lavoro.

Così hai osservato e esperimentato che ciò che ti mancava era inerente alla comunicazione e allo stare in relazione con il paziente?

Esattamente. Per il professionista sanitario la comunicazione è un grande strumento, irrinunciabile soprattutto per chi si occupa di nutrizione e di stili di vita. Entrare in relazione col paziente nel modo corretto è indispensabile per accompagnarlo ad un cambiamento importante e ricco di implicazioni come quello dello stile alimentare. Qualunque tipo di persona si abbia di fronte (un paziente, la famiglia del paziente, la cuoca di una mensa scolastica, una commissione mensa,  un insegnate di scienze, i colleghi con i quali si progetta un intervento nutrizionale, un utente dello sportello scolastico…)  avere la consapevolezza di come si comportano i flussi comunicativi e utilizzarli al meglio è uno strumento fondamentale che dà inevitabilmente risultati. Tutto ciò che facciamo e diciamo ha un’implicazione che dobbiamo per prima cosa conoscere e poi utilizzare e gestire. Nel percorso universitario per diventare dietisti si parla molto di comunicazione, di empatia, di relazione, tuttavia senza offrirne alcun tipo di formazione. Il counseling ad indirizzo sistemico mi ha fornito la formazione e gli strumenti di cui avevo bisogno.

Come è cambiato, quindi, il tuo modo di lavorare?

È cambiato in modo molto graduale, un piccolo passo dopo l’altro. È come imparare una nuova lingua, all’inizio si studiano le singole parole e la grammatica, poi si possono costruire piccole frasi fino a comporre dei temi. Ora mi sorprendo a pensare in questa lingua che non è più straniera, anzi, non saprei più farne a meno. È così radicato in me questo nuovo modo di rapportarmi col paziente e di condurre gli incontri da non rendermi nemmeno più conto che lo faccio. Ci sono voluti anni e non è sempre stato facile comprendere ed impiegare le tecniche comunicative, e soprattutto cambiare l’approccio mentale nel rapporto con le persone.

Visto l’impegno e le energie richiesti, che cosa ti ha spinto a continuare, a credere che fosse la strada giusta, che ne valeva la pena?

Le enormi soddisfazioni che ne conseguono: tanto mi sentivo frustrata come dietista prima, tanto mi sento gratificata ora che pratico counseling nutrizionale. L’entusiasmo che si può provare è sperimentabile dopo pochissimo tempo, per restare nella metafora della lingua straniera…è come se già alle prime parole “nuove” abbozzate con il paziente ci si rendesse conto che quest’ultimo ne è madrelingua; scatta subito un’intesa, ci si sente sintonizzati su una nuova frequenza che ci permette di capirci meglio reciprocamente. Al di là delle soddisfazioni personali, quello che mi spinge tutt’ora a fare meglio è il senso della responsabilità: come operatore sanitario ho di fronte delle persone e non delle cose e spetta a me far sì che la relazione tra loro e me sia buona abbastanza da permettere un reale cambiamento. Come diceva Jean Paul Sartre “ogni parola ha conseguenze, ogni silenzio anche”.


Emanuela Oliveri, dietista e counselor