Il mio arrivo al Santa Chiara, è sempre un’emozione, quando vedo la scalinata, mi si apre il cuore: qui ho sperimentato che cosa significa impegno e dedizione, amorevolezza e fatica. Oggi si simula, salgo e mi preparo, metto la divisa e mi “mimetizzo”.

 

Il mio compito oggi è quello di osservare, compito mai semplice perché implica non solo limitare qualunque tipo di azione, salvo l’osservare, ma anche di avere in mente con quale lento guardo, il “come” guardo. Cerco di cogliere i fenomeni relativi alle dinamiche comunicative e relazionali, e contribuire ad un cambiamento reso possibile dall’esperienza della simulazione che va a determinare un vero e proprio mutamento del funzionamento mentale, trasformando la capacità di percepire ed apprendere.
Ed ecco, sono in sala parto, in una postazione che ho ricoperto varie volte, nei due anni in cui ho sviluppato il progetto di ricerca-azione con tutto il reparto di Neonatologia, accanto al neonatologo che attende che il parto abbia inizio. Nella sala parto si sente l’energia e l’adrenalina, la finzione e anche la realtà, la responsabilità di ciò che accade, del fatto che questo non è un gioco, che il gioco è una cosa seria, e che siamo dentro una cornice, ci siamo saltati dentro, siamo immersi.
Dalla mia posizione la domanda che mi pongo continuamente è: cosa vedo? Vedo professionisti che si sono messi in gioco e che giocano, qualcuno con più difficoltà nell’entrare nella parte assegnata; qualcuno incuriosito che si affaccia sulla soglia della sala e si ferma; qualcuno che ha finito il suo mandato e vuole uscire (dal gioco e dalla sala). Vedo entusiasmo, curiosità e fatica.
Vedo un’équipe pronta ad affrontare l’imprevisto: un parto che presenterà delle difficoltà cliniche. Vedo la riflessione che accompagna il gesto, l’importanza del rallentare per prendere le decisioni giuste e per non fare accadere nulla alla “nostra Eva”, il manichino donna-incinta per cui è stata preparata una simulazione molto articolata, grazie alla bravura della nostra ingegnera e del nostro tecnico, coadiuvati dalla supervisione degli anestesisti, Paola del Chiaro, Barbara Pesetti, Anio Paperini e di Armando Cuttano.
E poi tanta tecnologia, i Google Glass, che permettono di vedere da punti di vista differenti, la registrazione, le videocamere, i microfoni, gli orologi per registrare i parametri vitali degli attori principali, tutto per agevolare il lavoro di riflessione che verrà dopo, a caldo e poi più tardi in fase di rendering. Il debriefing in cui emergono emozioni, riflessioni, e autoriflessione su interazioni, conoscenze e processi mentali. A caldo alcuni protagonisti dello scenario hanno detto che in questo modo si sono resi conto che devono recuperare delle informazioni, altri che si sono ritrovati in azioni fatte bene, ed è una soddisfazione. Al termine della giornata, siamo tutti un po’ stanchi ma contenti. Facciamo ancora un debriefing meta, su ciò che è stato fatto, e su ciò che è migliorabile: è questo il nostro modo di “conoscere”, “riflettere” e “fare”.